rivista di marzo 2000


 

 

La gioia del perdono


Vivere la vita nuovao Gesù
(Laura Casali)

Spesso le ferite psicologiche, anche inconsapevolmente, rendono difficili i rapporti interpersonali sia all'interno che all'esterno della famiglia. Laura Casali, psicologa e coordinatrice dei gruppi di RnS della Lombardia, ci aiuta a comprendere le cause profonde che scatenano le nostre reazioni e come attraverso il perdono possiamo rinnovarci interiormente, rinsaldando i nostri rapporti, ricomporre l'armonia famigliare intraprendendo così un vero cammino di conversione.

Dice Giovanni Paolo II nella Bolla d’indizione del grande Giubileo: «L’Anno Santo è per sua natura un momento di chiamata alla conversione. […] Questa, peraltro, è in primo luogo, frutto della grazia. È lo Spirito che spinge ognuno a "rientrare in se stesso" e a percepire il bisogno di ritornare alla casa del Padre (cf Lc 15, 17—20). L’esame di coscienza, quindi, è uno dei momenti più qualificanti dell’esistenza personale. Con esso, infatti, ogni uomo è posto dinanzi alla verità della propria vita. Egli scopre, così, la distanza che separa le sue azioni dall’ideale che si è prefisso». […] Tutti hanno peccato e nessuno può dirsi giusto dinanzi a Dio (cf 1Re 8, 46). Si ripeta senza timore: "Abbiamo peccato" (Ger 3, 25), ma sia mantenuta viva la certezza che "laddove ha abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia" (Rm 5, 20). […] [Perciò] nessuno in questo anno giubilare voglia escludersi dall’abbraccio del Padre. […] La gioia del perdono sia più forte e più grande di ogni risentimento» (Incarnationis mysterium, 11).

In queste parole del Papa è contenuta tutta la ricchezza e la profondità del perdono, poiché ci vengono rivelate la sua natura, che è quella di essere un frutto della grazia divina, e la sua realtà, che è dinamica in quanto ha un inizio, uno svolgimento e una finalità. L’inizio consiste nel rientrare in se stessi e percepire il bisogno di ritornare alla casa del Padre. Lo svolgimento consiste nel ripetere senza timore: "Abbiamo peccato", accettando l’abbraccio del Padre. La finalità sta nella conversione, che significa amare sempre più come Gesù.

Siamo dunque invitati ad accogliere e godere della grazia del perdono che ci viene concessa gratuitamente affinché, donando a nostra volta il perdono, diventiamo operatori di pace e di riconciliazione.

Inoltre, siamo invitati a riflettere sulla necessità che ognuno di noi ha di perdonare. Perdonare significa riconciliarsi con Dio e con gli uomini, significa fare un cammino di guarigione interiore, quindi, un cammino di santità.

Il perdono è il segno distintivo del cristiano

Lo dice Gesù nel Vangelo: «Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri» (Gv 13, 35). E ancora, il perdono è il vertice della vita cristiana: «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici» (Gv 15, 13).

Diciamo subito, però, che il perdono è opera di Dio e che non dipende dall’agire dell’uomo anche se, in tale cammino, vi sono delle tappe preliminari di perdono psicologico che non fanno esplicito riferimento a Dio. Tuttavia esse sono dei vissuti parziali di una realtà che non ha ancora trovato il suo senso, ma è una realtà divina. Sono tappe che corrispondono a un agire divino nell’uomo; perciò predisponendoci a ricevere e a dare il perdono, avviamo in noi un’opera di apertura alla dimensione spirituale. Scegliere di perdonare — nel suo duplice movimento di ricevere e donare il perdono — significa affermare la libertà di diventare ciò che siamo: esseri d’amore capaci di amare in maniera umana e divina. In noi c’è una capacità di perdono sia psicologico che divino.

Il primo è accessibile anche alle tecniche psicologiche e perciò si avvale degli sforzi umani. È il «non fare agli altri ciò che non vuoi sia fatto a te». È il deporre l’arma, il non vendicarsi, l’amare se l’altro mi ama… È stare nel "proprio angolo" per evitare conflitti. Tutti possiamo accedere a questo tipo di perdono, anzi ognuno di noi è invitato a esercitarlo quotidianamente in ogni situazione di vita, specialmente in quella familiare, affinché le relazioni umane possano svilupparsi in modo meno conflittuale e perciò più rispettoso, più ordinato e più decoroso.

Il secondo tipo di perdono è quello divino. Conseguente a quello psicologico (e non certo in alternativa ad esso), è un dono di Dio e come tale non acquistabile dall’uomo né per i suoi meriti né tantomeno attraverso tecniche psicologiche.

Le caratteristiche del perdono divino

Di quale perdono si tratta, se è solo Dio a potermelo dare?

È l’amore—agape, l’amore verso i nemici cioè quell’amore che va ben oltre il non vendicarsi. È l’amore che invita ad abbracciare il proprio nemico, a benedirlo, a fargli del bene e, infine, a dare la propria vita per lui come ha fatto Gesù.

È amare non solo quando l’altro non ti ama, ma anche quando l’altro risponde al tuo amore ferendoti. È passare dalla giustizia umana che all’offesa risponde con l’offesa, a quella divina che all’offesa risponde con l’offerta. È il nuovo comandamento di Gesù: «che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato» (Gv 13, 34). Gesù ci invita ad amare il nostro prossimo più di noi stessi, a preferire l’altro a noi stessi, come ha fatto lui, che ci ha amato fino a donare la propria vita. Ciò che Gesù ci propone è un amore—dono, un amore gratuito che dà senza attendere nulla in cambio. È il «dare tutto e poi dare se stessi» di Santa Teresa di Lisieux.

Amare e perdonare: perché questa equazione?

L’uomo è un essere d’amore e di relazione, in quanto plasmato ad immagine di Dio che è amore, ed ogni volta che non riceve amore viene ferito.

La ferita perciò è una mancanza d’amore alla quale l’uomo reagisce in modo naturale, vale a dire più o meno vendicativo: o interrompendo la relazione con l’altro, mantenendo però il ricordo doloroso e rancoroso dell’offesa subita oppure facendo pagare il debito della ferita all’offensore.

Dio, invece, ci invita a lasciare questa reazione naturale alla ferita, per accogliere la sua reazione divina, che è quella di perdonare. E proprio perché il suo invito è propositivo e non impositivo, egli attende la nostra risposta, il nostro "Sì", che si concretizza in una scelta: la decisione di lasciare la logica di una reazione naturale all’offesa, alla ferita subita, per accogliere la logica divina di reagire all’offesa continuando ad amare e rinunciando al debito che l’altro ha nei miei confronti.

Questo invito al perdono è destinato ad ogni uomo, poiché non esiste uomo che non sia ferito per mancanza d’amore. L’uomo è animato da un desiderio d’amore infinito che corrisponde alla pienezza dell’immagine divina iscritta in lui, aspira ad essere amato personalmente, senza limiti e incondizionatamente, e ad amare totalmente. Chi potrà soddisfare questa sete d’infinito? Solo Dio Padre, il Creatore! Ma poiché noi attendiamo tale pienezza dalla creatura, l’attesa sarà frustrata e nel nostro tessuto d’amore sperimenteremo un vuoto, una mancanza che sarà fonte di sofferenza.

La mancanza d’amore, dunque, ci ferisce e ci fa soffrire. La sofferenza a sua volta ci fa paura, ci angoscia, ci lacera dentro e ci spinge a ripiegarci su noi stessi, a diventare egocentrici e aggressivi. Così ci induriamo e guardiamo tutto e tutti, anche noi stessi, attraverso il filtro di questo indurimento, con la conseguenza che le nostre relazioni diventano sempre più difficili, sempre più ferenti.

L’aggressione di cui siamo fatti oggetto inizialmente diventa quindi la nostra modalità di reazione. Anzi, ci accorgiamo di non avere più bisogno che qualcuno ci aggredisca per scoprire che siamo capaci anche noi di aggredire per primi.

Quante ferite d’amore date e ricevute! Quanti perdoni da ricevere e da dare!

Ecco perché l’invito al perdono è rivolto ad ogni uomo, ed ecco perché il perdono è il fondamento di ogni cammino di guarigione di tutto l’uomo e quindi del cammino di conversione e di santità.