rivista di marzo 2000


 

 

Fede, speranza e carità: le virtù del cristiano


Vita del Rinnovamentoo Gesù
(Tarcisio Mezzetti)

La Quaresima, secondo il messaggio del Santo Padre, è il momento favorevole per un itinerario che porti a «vivere in pienezza la vita nuova in Cristo. Vita di fede, di speranza e di carità» Le tre virtù che agganciano la vita umana al mistero di Dio, sono state oggetto di approfondimento nel triennio di preparazione al Grande Giubileo e ora devono essere vissute in modo “più pieno e consapevole” da tutti i cristiani.

La fede

Il Vangelo, che è il fondamento delle verità cristiane, è anche l’annuncio del regno di Dio e la proclamazione della sua presenza nel mondo, tra gli uomini.

Ma cosa significa la presenza di Dio nel mondo? Significa il capovolgimento di tutto ciò che l’uomo crede, valuta e considera. Dato poi che tutto esiste o diviene nello spazio e nel tempo, il capovolgimento di tutto costituisce anche il capovolgimento del modo di vedere lo spazio ed il tempo, cioè le coordinate entro le quali si compie tutto ciò che è umano. Sotto i presupposti di questo completo capovolgimento i "valori" possono benissimo manifestarsi come disvalori, le "virtù" come vizi, le "verità" come menzogne, i "successi" come insuccessi, le "fortune" come disgrazie, ecc.

Questo non sorprende, perché in realtà, nel Vangelo sono detti "beati" coloro che piangono e non coloro che sono nella contentezza, i poveri e i perseguitati e non i ricchi ed i forti, ecc. Accogliere pertanto la presenza di Dio o del suo regno, reca con sé la grande difficoltà di collocare l’uomo in un nuovo spazio e in un nuovo tempo: lo spazio e il tempo creati dalla presenza del Dio trascendente ed eterno dentro il mondo limitato e provvisorio, entro lo spazio e il tempo della conversione e della trasfigurazione dell’uomo. A questo forse siamo chiamati in modo più insistente in questo anno giubilare che celebra duemila anni dell’Incarnazione.

È in questo nuovo spazio e questo nuovo tempo che si incontrano esperienze di genere nuovo: le esperienze spirituali; quelle esperienze che l’uomo fa nell’ambito di quello spazio e di quel tempo trasfigurati, che la presenza di Dio nel mondo crea. Per comprendere meglio questo concetto è utile esaminare la domanda rivolta da Gesù ai suoi discepoli: «La gente chi dice che sia il Figlio dell’uomo?» (Mt 16, 13).

Le risposte a questa domanda possono essere così classificate:

- alcuni vedono Gesù come profeta,
- altri — come sappiamo da diversi testi evangelici — lo ritengono indemoniato: «Gli risposero i Giudei: “Non diciamo con ragione noi che sei un Samaritano ed hai un demonio?"» (Gv 8, 48);
- Pietro e gli altri discepoli, invece, lo riconoscono come: «Figlio del Dio vivente».

Se analizziamo le tre risposte dal punto di vista delle prospettive spazio-temporali che presuppongono, si può osservare:

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- Nel primo caso, quando Gesù Cristo è riconosciuto come profeta, l’uomo accoglie sì Gesù come messaggero della divina volontà, ma rimane ancora prigioniero delle sue limitazioni spazio-temporali. Gesù è portavoce di Dio, ma non è Dio. La percezione della reale presenza di Dio nel mondo è inesistente. Si riconosce la realtà divina, la comunicazione con il trascendente, ma non l’inserimento in essa.

- La seconda posizione, che ritiene Gesù "indemoniato", ha anch’essa una dimensione religiosa, ma di carattere demoniaco. I "segni" attraverso i quali Gesù Cristo rivelava la sua divinità non sono visti come indizi della presenza di Dio nel mondo o della sua comunione con l’uomo, ma solo come atti soprannaturali straordinari. Anche in questo caso vengono conservate le dimensioni umane dello spazio e del tempo e Gesù non è riconosciuto come proveniente da Dio, ma ritenuto strumento del diavolo. Si riconosce una realtà trascendente, ma è una realtà che non trasfigura il mondo presente.

- La terza confessione, che Gesù è: «…il Cristo, il Figlio del Dio vivente», presuppone invece, l’accoglimento di nuove dimensioni spaziali o temporali, ovvero l’inserimento dell’uomo in esse. Perché l’uomo Gesù sia Figlio del Dio trascendente, perché cioè sia possibile la presenza di Dio nella storia, devono capovolgersi le concezioni dell’uomo riguardo allo spazio e al tempo. L’accoglimento della presenza del trascendente e dell’eterno nello spazio e nel tempo, suppone il cambiamento totale delle coordinate razionali, ovvero, l’ingresso in un nuovo spazio e in un nuovo tempo: conseguentemente, suppone la rivelazione di Dio. Solo se Dio si manifesta all’uomo, l’uomo può accettare Gesù Cristo come Dio. Questa verità è espressa spesso e in vario modo nella Prima Lettera di Giovanni, ove si legge tra l’altro: »Chiunque crede che Gesù è il Cristo, è nato da Dio» (1 Gv 5, 1).

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Ciò significa che non è possibile per l’uomo credere che Gesù è il Cristo, cioè uomo-Dio, se non è Dio stesso che lo introduce nella nuova realtà, nella realtà trasfigurata da Dio. Dice il Catechismo della Chiesa Cattolica: «Con la fede l’uomo sottomette pienamente a Dio la propria intelligenza e la propria volontà. Con tutto il suo essere l’uomo dà il proprio assenso a Dio rivelatore. La Sacra Scrittura chiama "obbedienza della fede" questa risposta dell’uomo a Dio che rivela» (143).

Riscoprire la dimensione trascendente della fede del credente, riportando la fede al gesto di «assenso al Dio rivelatore», credo che debba diventare l’impegno della vita e della catechesi in questo speciale anno Duemila, che ci ricorda in modo speciale lo straordinario evento del Dio trascendente che entra nella storia dell’uomo incarnandosi.

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La carità

Gregorio di Nissa osserva che la virtù della pietà ha due aspetti; quello delle verità della fede e quello etico. Né le verità di fede senza l’etica né l’etica senza le verità della fede, possono costituire il tutto della pietà cristiana.

Tale situazione si manifesta innanzitutto, attraverso il cosiddetto materialismo pratico, che provoca una vera scissione nella vita dei fedeli. La fede, non è più la regola della vita quotidiana del cristiano; come spazio è limitata ai luoghi sacri nei quali si va per rendere culto a Dio e nel tempo agli attimi della comunicazione con Dio. In questo modo Dio è stato sostanzialmente emarginato dalla vita dell’uomo ed è stato trasformato in un elemento decorativo al servizio di diverse esigenze, psicologiche, sociali o di altro tipo.

Una seconda conseguenza negativa della rottura tra etica e fede è il distacco dell’amore dal vissuto religioso. Le opere della fede, ovvero i frutti dell’amore cristiano, vengono visti indipendentemente dalla fede e dall’amore verso Dio e il prossimo, in uno spirito puramente utilitaristico. Così si coltiva il cosiddetto cristianesimo pratico o sociale, che è sostanzialmente indifferente nei confronti della dimensione trascendente del cristianesimo, anzi lo trasforma in religione sociale e ricerca solo la valorizzazione delle sue dottrine etiche e sociali. Questi due fenomeni patologici, il materialismo pratico e il cristianesimo pratico o sociale, che per altro presentano grande parentela fra loro, vengono ad essere in piena antitesi con la tradizione e la dottrina cristiana e sono fonte di grandi pericoli per la vita spirituale dei fedeli.

La carità è quindi strettamente ed indissolubilmente legata alla fede. Dice il Catechismo della Chiesa Cattolica:

«Al di sopra di tutto la carità — … è opportuno ricordare il seguente principio pastorale enunciato dal Catechismo Romano: "Tutta la sostanza della dottrina e dell'insegnamento deve essere orientata alla carità che non avrà mai fine. Infatti sia che si espongano le verità della fede o i motivi della speranza o i doveri della attività morale, sempre e in tutto va dato rilievo all'amore di nostro Signore, così da far comprendere che ogni esercizio di perfetta virtù cristiana non può scaturire se non dall'amore, come nell'amore ha d'altronde il suo ultimo fine"» (25).

Il cristiano è chiamato all’amore e l’amore è qualcosa che investe tutta la vita e le azioni del credente, anche la sua vita sociale, ma il credente è sempre cosciente che questo amore viene da Dio, perché, come dice Giovanni: «… Dio è amore [Agape]; chi sta nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in lui» (1 Gv 4, 16).

L‘amore cristiano quindi, sgorga sempre da quella eterna fontana che è Dio, ne consegue che la carità è figlia della fede. Anche il Catechismo della Chiesa Cattolica sottolinea questa dipendenza:

«La vita della fede - La parte terza del catechismo presenta il fine ultimo dell'uomo, creato ad immagine di Dio: la beatitudine e le vie per giungervi: un agire retto e libero, con l'aiuto della legge e della grazia di Dio…; un agire che realizza il duplice comandamento della carità, esplicitato nei dieci comandamenti di Dio…» (16).

Tutta la vita del credente è quindi impregnata permanentemente dell’amore stesso di Dio e non potrebbe essere diversamente, perché la fede, la speranza e la carità sono virtù donate da Dio e non possono essere separate tra loro. Giacomo chiedeva ai credenti:

«Che giova, fratelli miei, se uno dice di avere la fede ma non ha le opere? Forse che quella fede può salvarlo? Se un fratello o una sorella sono senza vestiti e sprovvisti del cibo quotidiano e uno di voi dice loro: "Andatevene in pace, riscaldatevi e saziatevi", ma non date loro il necessario per il corpo, che giova? Così anche la fede: se non ha le opere, è morta in se stessa. Al contrario uno potrebbe dire: Tu hai la fede ed io ho le opere; mostrami la tua fede senza le opere, ed io con le mie opere ti mostrerò la mia fede. Tu credi che c’è un Dio solo? Fai bene; anche i demòni lo credono e tremano! Ma vuoi sapere, o insensato, come la fede senza le opere è senza calore? Abramo, nostro padre, non fu forse giustificato per le opere, quando offrì Isacco, suo figlio, sull’altare? Vedi che la fede cooperava con le opere di lui, e che per le opere quella fede divenne perfetta e si compì la Scrittura che dice: E Abramo ebbe fede in Dio e gli fu accreditato a giustizia, e fu chiamato amico di Dio. Vedete che l’uomo viene giustificato in base alle opere e non soltanto in base alla fede» (Gc 2, 14-24).

Il Rinnovamento che è costituito da fratelli e sorelle che hanno fatto un’esperienza profonda della presenza di Dio nella loro vita, debbono, soprattutto in questo specialissimo anno giubilare, tornare ad approfondire in modo specifico e convincente, il rapporto indicibile e gioioso tra la fede e l’esercizio costante della carità, che diventa così anche strumento particolare della conversione del cuore. Il Rinnovamento, entra nella storia del nostro tempo con lo stesso impeto con cui i grandi movimenti monastici sono entrati nella vita della Chiesa attraverso i secoli, e si manifesta quindi, all’occhio più attento, come una vocazione ad un nuovo e più flessibile (forse più difficile) monachesimo del nostro tempo. Ciò che il Catechismo dice della vita religiosa potrebbe essere infatti facilmente adattato al Rinnovamento nello Spirito:

«La vita religiosa sgorga dal mistero della Chiesa. È un dono che la Chiesa riceve dal suo Signore e che essa offre come uno stato di vita stabile al fedele chiamato da Dio nella professione dei consigli. Così la Chiesa può manifestare Cristo e insieme riconoscersi Sposa del Salvatore. Alla vita religiosa, nelle sue molteplici forme, è chiesto di esprimere la carità stessa di Dio, nel linguaggio del nostro tempo» (926) .

È qui che si combatte la battaglia per la profonda conversione del nostro cuore e dove il Rinnovamento si inserisce come parte prioritariamente attiva, entro la spinta missionaria e caritativa della Chiesa.

La speranza

Tra le frasi più belle che Gesù ha detto, la seguente ha assunto per me sempre un grande valore: «Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo» (Gv 17, 3).

La fede rappresenta quindi, l’inizio della vita eterna e noi fin da ora possiamo gustare la gioia della fine del nostro pellegrinare terreno, perché allora vedremo Dio, dice san Paolo: «… a faccia a faccia…» (1 Cor 13, 12), e Giovani afferma: «… così come egli è…» (1 Gv 3, 2). San Basilio scrive:

«Fin d’ora contempliamo come in uno specchio, quasi fossero già presenti, le realtà meravigliose che ci riservano le promesse e che, per fede, attendiamo di godere».

Tuttavia queste cose le vediamo ancora in maniera confusa ed imperfetta, le viviamo, infatti, solo nella fede. San Paolo direbbe: «… camminiamo nella fede e non ancora in visione»
(2 Cor 5, 7).

Pur avendo la luce luminosa della fede, a causa di colui in cui crede, il credente vive quindi questa esperienza ancora nell’oscurità. Il Catechismo insegna:

«… La fede può essere messa alla prova. Il mondo nel quale viviamo pare spesso molto lontano da ciò di cui la fede ci dà la certezza; le esperienze del male e della sofferenza, delle ingiustizie e della morte, sembrano contraddire la Buona Novella, possono far vacillare la fede e diventare per essa una tentazione» (164).

È a questo punto che interviene in nostro aiuto la terza virtù: la speranza. Di nuovo il Catechismo ci spiega la ragione della speranza, la sua incessante, straordinaria, utilità nei momenti di buio e di smarrimento:

«Allora dobbiamo volgerci verso i testimoni della fede: Abramo, che credette "sperando contro ogni speranza" (Rm 4, 18); la Vergine Maria che, nel "cammino della fede"6, è giunta fino alla "notte della fede"7 partecipando alla sofferenza del suo Figlio e alla notte della sua tomba; e molti altri testimoni della fede. "Circondati da un così gran numero di testimoni, deposto tutto ciò che è di peso e il peccato che ci assedia, corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, autore e perfezionatore della fede"(Eb 12, 1-2)» (165).

Sembrerà forse banale, ma è nell’approfondimento, nella meditazione e nella riflessione costante sulle virtù teologali che il Rinnovamento può ripartire per la più grande evangelizzazione che investirà il terzo millennio dell’era cristiana, forte dell’incoraggiamento del Papa che ci urge a: «Varcare la soglia della speranza».

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