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Non il "mio", ma il "nostro" Vangelo! 
Sintesi dell'intervento di Gregorio Vivaldelli
Conferenza Nazionale Animatori 2012 - Gregorio Vivaldelli - Clicca per ingrandire...

«Il Vangelo è cibo per lottatori, cibo per chi ha scelto ogni giorno di lottare con l'uomo vecchio per conformarsi completamente a Gesù di Nazaret». Esordisce così Gregorio Vivaldelli nella sua esegesi del passo paolino tratto dalla Prima lettera ai Tessalonicesi: "Il nostro Vangelo... si è diffuso con la potenza dello Spirito e con profonda convinzione" (1, 5a). «"Abbiate gli stessi sentimenti che furono di Cristo Gesù" (cf Rm 15, 5), esorta l'Apostolo. Il Vangelo è ciò che evangelizza lo stile di vita del cristiano, è un'educazione a guardarci con gli occhi di Gesù». Nella predicazione, continua il Biblista, Paolo invita a porsi la domanda di sempre, la stessa che il Maestro rivolge ai suoi discepoli: «"Ma voi chi dite che io sia?" (cf Mt 16, 15): è la domanda eterna, che deve attraversare la vita di ogni discepolo, in ogni tempo. Se infatti non entriamo in una relazione viva, trasformante con Cristo, se Egli non ci penetra l'esistenza, se non cambia la nostra mente, rischiamo di vedere in lui quello che vede la maggioranza delle persone: solo un grande personaggio del passato. Per questo il Maestro chiede con forza: "Ma voi... voi che vivete con me, voi che avete fatto esperienza di me... voi, chi dite che io sia?". In quel "voi" c'è, insieme a quella personale, tutta la relazione comunitaria con Gesù: è all'interno di una comunità credente che si conosce a pieno il suo mistero». Quando parliamo del Vangelo, parliamo di «un Dio che si è fatto uomo, di un Gesù che ha fatto l'esperienza del dolore, della morte e della risurrezione. La sua incarnazione penetra tutta la nostra esistenza; se Cristo è risorto, anche questo tempo è redento e va letto con le lenti del Vangelo, non certo con quelle sfuocate che vogliono proporci i Media».

Gregorio Vivaldelli, ricostruendo con grande efficacia la figura dell'Apostolo delle genti, spiega come Paolo voglia anche mettere in guardia dal «rischio di accettare Cristo e non la Sposa per cui Egli è morto. Mentre ciò che raggiunge i secoli è quel Vangelo che la Sposa di Cristo ci ha trasmesso: non il "mio" Vangelo, ma il "nostro" Vangelo. Un Vangelo da vivere in concreta comunione con il Santo Padre e con i vescovi. Non esitiamo dunque - esorta - ad approfondire la Tradizione viva della Chiesa: più noi saremo in comunione con la Chiesa, più la nostra testimonianza diventerà la testimonianza dell'amore trinitario».

Vivaldelli si sofferma poi sulla seconda parte del versetto della Lettera ai Tessalonicesi che dà il tema alla sua relazione: «"...si è diffuso con la potenza dello Spirito". Per l'Antico Testamento - spiega - la potenza è un attributo talmente vicino a Dio che in molti casi sostituisce il nome di Dio. Quando dunque Paolo parla di potenza, vuole evocare la presenza stessa di Dio, la cui potenza consiste nella sua capacità ineguagliabile di perdonare: Dio si manifesta con potenza quando trasmettiamo la sua misericordia incontenibile. L'Apostolo riconosce inoltre come lo Spirito Santo sia quella forza che ti impedisce di non parlare di Dio, che ti spinge continuamente a darti agli altri, a rinnovarti. È il fuoco ardente che continua ad agire sotto la cenere delle nostre difficoltà». Concludendo, il Biblista ricorda solo due degli atteggiamenti che devono caratterizzare lo stile del cristiano, dai quali si comprende che non siamo noi ad agire, ma è lo Spirito che agisce in noi: «Gareggiate nello stimarvi a vicenda... Rallegratevi con quelli che sono nella gioia! (Rm 10b.15a)».

Lucia Romiti

(03.11.2012)