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Rinnovamento: uno spazio d’amore aperto ed evangelizzatore 
Relazione conclusiva del Presidente Salvatore Martinez
43ª Conferenza nazionale animatori - Clicca per ingrandire...

La relazione conclusiva sul tema della Conferenza è affidata alle parole del Presidente del RnS, Salvatore Martinez, che inizia affrontando il tema dell’amore: “Tutti sapranno che siete miei discepoli se avrete amore gli uni per gli altri” (Gv 13, 35). Evangelizzare è amare (Papa Francesco al Rinnovamento. Vigilia di Pentecoste, 8 giugno 2019). La relazione parte da un brano della lettera di Paolo agli Efesini (3, 17-19), nella quale l’Apostolo augura alla comunità di poter penetrare il mistero profondissimo dell’amore di Dio e della sua pienezza.

Come definire questo amore? S. Agostino, commentando la Prima Lettera di San Giovanni, spiega che esso “ha piedi che conducono alla Chiesa, mani che si stendono verso il povero, occhi per vedere chi è bisognoso, orecchie per saper ascoltare: non si tratta di parti del corpo ma di attitudini della carità e alla carità che deve essere vissuta e mostrata. È un “amore a priori”: «altrimenti è amore contrattuale, soggiacente, che cerca meriti, consensi, soddisfazioni». Un amore «tracimante, come l’acqua che riempie la diga e che continua a lavare i piedi degli uomini, non solo di quelli che stanno nel Cenacolo, ma di tutti quelli che il Cenacolo, la casa, la Chiesa, la comunità l’hanno abbandonata o non la trovano». Un amore che si effonde: a questo proposito Salvatore distingue tra “infusione” ed “effusione” dello Spirito: «L’amore di Dio è una infusione che si fa effusione». L’infusione è ciò che entra, è passiva, perché l’amore di Dio entra in noi; l’effusione è ciò che esce; è attiva, è l’amore che esce da noi per volontà di Dio. Ciò che autentica la preghiera per una nuova effusione dello Spirito non è il ricevere consolazione o guarigione, ma il servire: non è possibile mortificare l’impulso missionario implicito nell’effusione: «In Gv 7, 38 c’è una delle più puntuali definizioni della corrente di grazia: “Dal grembo di chi crede sgorgheranno fiumi di acqua viva”. Se non si comprende che l’effusione è irruzione dell’amore nella storia, non si comprende nemmeno quale sia il piano teologico, dottrinale, biblico che lo Spirito ha scritto nei giorni della Conferenza». Il Rinnovamento non può e non deve essere destinatario del rimprovero che è rivolto alla prima delle sette chiese, quella di Efeso (cf Ap 2, 1-7): “abbandonato il suo primo amore”.

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Applicato al Rinnovamento, questo monito invita a «non perdere lo slancio carismatico e kerigmatico, la passione ecclesiale». Il Presidente richiama quattro pilastri fondamentali su cui si basa l’effusione dello Spirito. Essa è sempre grazia sacramentale e carismatica, connessa al grande mistero della Chiesa; è sorretta dalla Parola di Dio, «non dallo Statuto del RnS»; deve essere alimentata dalla preghiera, che se è stanca e frettolosa la renderà inefficace; si diffonde mediante una evangelizzazione kerigmatica e carismatica. E poi, tre frutti che derivano dall’effusione: l’amore, la sapienza, il potere dello Spirito. Tre dimensioni che ben riassumono quanto si legge sull’effusione dello Spirito in tutte le lettere paoline. Il Presidente fa ripetere all’assemblea, più volte, quella che presenta come una progressione virtuosa: «Non c’è evangelizzazione senza effusione dello Spirito, non c’è effusione senza preghiera, non c’è preghiera senza comunità, non c’è comunità senza parola di Dio.

Guardando, poi, alle sfide dell’evangelizzazione, il Presidente afferma che «non c’è tempo migliore di questo per diffondere la cultura di Pentecoste, che è umanizzazione secondo lo Spirito, interpretazione del Vangelo dentro le doglie del mondo, dentro gli aborti di fede, di speranza di carità». Se «la crisi si sta aggravando nel cuore degli uomini e delle istituzioni», se stanno «cambiando la percezione del bene e del male, le relazioni nella famiglia e nella comunità, il senso della responsabilità e del bene comune, la capacità della nostra società di essere misericordiosa», l’unica rivoluzione possibile è quella spirituale, come ricordava Luigi Sturzo nel 1944. A fronte di questo, le nostre comunità devono rispondere con la cultura dell’interiorità, della fraternità, della spiritualità, in una «nuova sintesi creativa tra fede e storia, fede e cultura, fede e servizio, fede e carità».

Il richiamo del Presidente è quello di ripartire da una «nuova amicizia spirituale», che non nasce dalla simpatia o dagli interessi comuni, ma si fonda sulla sottomissione reciproca: «Non sporchiamo il Rinnovamento con inutile vanagloria, non spegniamolo nell’abitudine che toglie all’esperienza di Dio carica profetica, non normalizziamolo nel suo dinamismo carismatico e missionario».

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La comunità deve custodire i dettagli dell’amore: in essa, ricorda Papa Francesco, i membri si prendono cura gli uni degli altri e la rendono «uno spazio aperto ed evangelizzatore» (Gaudete et Exsultate, 145 ).

«Sono – chiede il Presidente - i nostri gruppi luoghi aperti dove la preghiera evangelizza?». Occorre tornare alle fonti, all’essenziale, tornare a rileggere «il modo in cui preghiamo, in cui generiamo nuovi gruppi e comunità, il modo in cui, direbbe papa Francesco con un neologismo, “misericordiamo” e – aggiunge -,  “missioniamo”, per essere realmente  comunità carismatiche missionarie». L’analisi del Presidente mette in rilevo i pregi ma anche i limiti da superare: «Siamo una comunità nazionale, costruita con uno Statuto inclusivo, una capacità generativa, un ampliamento progettuale che i nostri vescovi benedicono. Questa Conferenza ci dice che quanto a “mistica dell’esperienza” il RnS è in cammino e fa bene; quanto, però, alla “mistica delle relazioni”, dobbiamo ancora fare meglio, dobbiamo avere il coraggio di eleggerci fratelli nell’amore del Signore. Se il signore mi ha eletto, allora chi è eletto dal Signore insieme a me è mio fratello e mia sorella».

Nella direzione della custodia reciproca, Salvatore introduce il concetto del passaggio “da gruppo a comunità”: «Ci ostiniamo a chiamarci “gruppo”, ma è tempo di decidere per comunità e fraternità». Richiama il concetto di popolo di Dio, così bene espresso da papa Francesco in Gaudete et Exsultate ai nn. 6 e 7: «Siamo un popolo, siamo a servizio di un popolo, con dinamiche d’amore popolari, semplici, accessibili: ma siamo a servizio (GE 17), e per questo ci è data la grande grazia del RnS».

Riagganciandosi all’apertura della relazione, il Presidente conclude con la dossologia contenuta nel capitolo 3 della Lettera agli Efesini, che è una esaltazione della potenza di Dio.
Luciana Leone

(03.11.2019)