«Zaccheo scese in fretta e lo accolse pieno di gioia» (Lc
19, 6), questo il passo commentato dall'arcivescovo mons. Santo Marcianò,
ordinario militare per l'Italia, nella relazione della giornata centrale della
42ª Convocazione nazionale RnS. Mons. Marcianò, che rivolgendosi al popolo del
Rinnovamento lo definisce più volte "santo", analizza i due verbi del
versetto - "scendere" e "accogliere" -, e i due sostantivi:
"la fretta" e "la gioia". «Zaccheo è un uomo solo, inviso a
tutti. Gesù gli chiede di scendere, di lasciare il posto sicuro e guadagnato,
che ha una visuale apparentemente ottima ma lo lascia lontano da Lui e dagli
altri. Bisogna scendere - continua - per vivere il rischio dell’incontro! E,
certamente, a noi oggi è richiesta una discesa». A questo proposito l'Arcivescovo
ricorda la kénosis di Cristo, il suo
scendere "fino all'annientamento della croce, del rifiuto, della morte...
solo per incontrare l'uomo». E sono in questa kénosis «le fondamenta della "cultura dell’incontro" di
cui tanto parla Papa Francesco».
Zaccheo accolse Gesù. Mons. Marcianò si sofferma
sulla parola "accoglienza", «oggi - dice - strumentalizzata: c’è chi
la pronuncia con terrore, chi ne fa una bandiera ideologica; tuttavia, il suo
significato viene spesso sovvertito, perché letto in chiave parziale: chi vanta
l’accoglienza dello straniero non accetta che si parli di accoglienza della
vita, e viceversa. Ma accogliere significa anzitutto aprire lo spazio della
conoscenza dell'altro, che è sempre una novità, è sempre un mistero: il povero
che bussa alle nostre mense come lo straniero che bussa ai nostri mari; il
bambino che, forse, giunge indesiderato per una coppia... E accogliere
significa farsi carico», riconoscendosi «in un’unica storia, in un comune
destino di fratelli».
Mons. Marcianò sottolinea che «il tempo di Zaccheo è
la fretta, la fretta la sua risposta all’oggi di Gesù. Non c’è altro tempo per
accogliere il Signore - spiega - che non l’oggi, il subito». Infine, la svolta
di Zaccheo: «la gioia, che è un frutto, il segno dell'intervento di Dio nella
sua vita». A questo proposito l'Arcivescovo individua tre sfumature della
gioia: la gioia della vocazione «che - dice - non si dimentica e alla quale
invita a tornare, soprattutto nei momenti difficili»; la gioia delle
beatitudini, «che si assapora man mano che si supera l'egoismo e la
superficialità»; la gioia dell'annuncio, quella che anima la Chiesa, «evangelizzatrice
per missione».
Lucia Romiti