Nella prima giornata della Convocazione, i fedeli
vengono preparati al sacramento della confessione e della riconciliazione con
Dio, attraverso l’esegesi, straordinariamente illuminante, di mons. Guido
Marini. Prima di spiegare il racconto evangelico di Zaccheo, mons. Marini
riprende una immagine di San Gregorio Magno, trasponendo idealmente i presenti
in un giardino di fiori, dove la
Parola di Dio viene respirata con il cuore. Bisogna
avvicinarsi alla parola di Dio, infatti, come se si stesse per varcare
l’entrata di un giardino fiorito, o con quell’ardore con cui l’amata – nel
Cantico dei Cantici - desidera incontrare il suo amato. Al racconto evangelico
della “conversione” del pubblicano Zaccheo, mons. Marini contrappone la
“chiamata” del pubblicano Levi: le due figure rappresentano «la cornice
dell’intero Vangelo perché l’uno si pone alla conclusione del ministero
pubblico di Gesù, l’altro all’inizio». Tutta la missione di Gesù è sintetizzata
in questi due brani evangelici che ci comunicano che «Cristo è venuto a cercare
e a salvare ciò che era perduto». San Francesco di Sales, a questo proposito – ricorda
mons. Marini - afferma che «Il Signore ha voluto fare della nostra miseria il
trono della sua misericordia».
Entrando nel dettaglio della pagina evangelica di
Zaccheo, il Prelato osserva: «Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i
peccatori, il primo dei quali sono io» (cf 1 Tm 1, 15)). «Non siamo, dunque,
dei semplici spettatori della pagina che parla di Zaccheo, ma dei
protagonisti». Mons. Marini focalizza l’attenzione su ogni singola parola del
testo evangelico, ricco di simbologie: la città di Gerico è letta come il
simbolo del peccato in «cui “entra” Gesù e l’”attraversa”» per sconfiggere il
male (ognuno di noi è una Gerico); Zaccheo, capo dei pubblicani (i peccatori
pubblici) e ricco rappresenta l’uomo peccatore per eccellenza, impossibile da
perdonare, ma non per il Dio dell’impossibile; e poi la piccolezza della sua
statura, che richiama le nostre “piccolezze”, la mediocrità con cui conviviamo
e che spesso si cronicizza nella nostra vita, impedendo «il nostro progresso
spirituale».
E, ancora, Zaccheo che “corre e sale”: «due verbi
bellissimi – continua mons. Marini – che ci parlano di un entusiasmo, di una
passione del cuore… verbi di una vita cristiana viva».
Anche la presenza del Sicomoro non è casuale: il
sicomoro è un albero che produce frutti che, solo se incisi per fare uscire un
liquido amaro, divengono dolcissimi. Il liquido amaro simboleggia, ancora una
volta, il male, il peccato. Allora, anche «La Parola che stiamo ascoltando deve diventare
quell’oggetto appuntito che, entrando nel cuore, nella nostra carne, nella
nostra vita, faccia fuoriuscire tutto ciò che è amaro, contrario alla volontà
di Dio su di noi».
Gesù ha fretta di cambiare la nostra vita, di
convertire il nostro cuore: «”Zaccheo scendi subito perché oggi”… è il momento
della tua salvezza; è oggi l’occasione di un incontro d’amore che ti cambia la
vita». E nello stesso passo biblico si esplicita anche il mistero
dell’incarnazione («devo fermarmi a casa tua»). Ciascuno di noi è chiamato a
divenire terra santa, grembo della Vergine abitato da Dio. Il racconto
evangelico si conclude con una conversione, un “cambiamento radicale”: «Voglio
vivere come Gesù, voglio amare come ama Gesù, scegliere come sceglie Gesù».
Dopo l’incontro con Cristo, niente è più come prima. Zaccheo decide di
abbandonare la sua vecchia vita da peccatore, di restituire quanto rubato e
ricominciare una vita nuova.
Con questo sentimento nel cuore, i fedeli si sono
avvicinati al sacramento della confessione.
Daniela Di Domenico