È la parabola del buon Samaritano al centro della
relazione di mons. Francesco Lambiasi (cf Lc 10, 29-37). Il vescovo di Rimini,
che anche quest'anno non ha fatto mancare la sua presenza alla Convocazione
nazionale dei gruppi e delle comunità del Rinnovamento nello Spirito, parla del
genere letterario usato da Gesù, che - dice - «assomiglia a quello dei profeti,
ma lo supera per la geniale freschezza del linguaggio e per l'intensa novità del
messaggio», e individua il cuore pulsante della parabola nella «comparsa del
buon Samaritano» il quale, al contrario di quanto hanno fatto il sacerdote e il
levita, e pur essendo lui considerato dai giudei uno straniero e "un
nemico", si ferma a prestare soccorso al bisognoso.
Mons. Lambiasi riflette sull'identità dell'uomo.
Egli «è la gloria di Dio. "Gloria Dei homo vivens", scriveva
sant'Ireneo. Dio trova la sua gloria nel fatto che l’uomo viva e raggiunga la
piena realizzazione della sua umanità. Ma questo uomo incappato nei briganti,
derubato, percosso a sangue e tramortito, è un essere povero, ferito, fragile,
indigente e sofferente. È l’uomo di cui si è interessato il Concilio Vaticano
II, così descritto da Paolo VI: “l’uomo tragico dei suoi propri drammi, l’uomo
fragile e falso, l’uomo infelice di sé”... l’uomo come essere-di-bisogno».
Il sacerdote e il levita, continua il Vescovo in
un'analisi etimologica del testo greco, «bypassano il poveretto tenendosi a
debita distanza per non contaminarsi... per la preoccupazione di salvaguardare
la propria purezza cultuale. Ma in questo modo essi, stravolgendo il messaggio
dei profeti, dimenticano che il culto a Dio non è vero se non si traduce anche
in servizio al prossimo».
Nel "dodecalogo del farsi prossimo",
individuato dal Vescovo di Rimini con il suo consueto linguaggio poetico-filosofico,
ci sono i verbi "vedere" e "avere compassione" (cf Lc 10, 33),
«che vanno tenuti indissolubilmente uniti. Li potremmo chiamare - dice - i
verbi degli occhi e del cuore. Amare è lasciarsi spezzare il cuore». Poi, i verbi
del "pronto soccorso": «Il Samaritano "gli si fece vicino, gli
fasciò le ferite, versandovi olio e vino" (v. 34a). Li possiamo denominare
i verbi dei piedi e delle mani. Sono i verbi della concretezza e della
compostezza, senza i quali la compassione risulterebbe sterile e retorica.
Amare è sporcarsi le mani». E ancora, i verbi della cura, che riguardano il
"dopo": «"lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un
albergo e si prese cura di lui" (v. 34b)».
Gesù aveva raccontato la parabola del buon Samaritano
in risposta alla domanda dello scriba: «E chi è mio prossimo?» (v. 29): «Il
dottore della Legge voleva sapere chi ha il diritto al suo amore, Cristo
risponde indicandogli chi, lui, maestro in Israele ha il dovere di amare. Dal
prossimo come oggetto da amare, Gesù invita a passare al prossimo come soggetto
che ama... Il problema - conclude mons. Lambiasi - non è mai quello di avere un
prossimo da amare, selezionandolo accuratamente. Il problema è di essere
prossimo a chi ha bisogno di essere amato». Sull'esempio di Gesù, il vero buon
Samaritano.
Lucia Romiti