Nei giorni 28 e 29 settembre 2017 si è tenuta, presso la Sala della Protomoteca in Campidoglio a Roma, la Terza Conferenza Nazionale della Famiglia, organizzata dal Dipartimento per le politiche della famiglia della Presidenza del Consiglio dei Ministri con il supporto dell'Osservatorio nazionale sulla famiglia.
Tra i presenti, anche il Rinnovamento nello Spirito Santo. Di seguito, il commento di Salvatore Martinez, Presidente del Rinnovamento nello Spirito e Presidente della Fondazione Vaticana "Centro Internazionale Famiglia di Nazareth".
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Non si è ravvisato entusiasmo nei partecipanti alla III Conferenza Nazionale sulla Famiglia. Qualcuno ha parlato di fallimento; altri di un evidente iato tra le attese maturate nei cinque gruppi di lavoro coordinati dall’Osservatorio nazionale della famiglia e le proposizioni deboli, in plenaria, dei rappresentanti del Governo.
Intanto, già nel titolo si registra ancora un vulnus da sanare, se vogliamo che il Paese ritrovi davvero nella soggettività della famiglia la più credibile, efficace e duratura ripresa del suo “stato sociale”.
Non è più tempo di intrattenersi “sulla” famiglia: la storia è lastricata di buone analisi e di buone idee. E’ “della” famiglia che occorre tornare a parlare, senza infingimenti, senza retorica modernista, senza riesumare ogni volta lo spettro della discriminazione culturale, senza ridurne senso, portata, vantaggio per la migliore crescita di tutti i cittadini. E dunque “per” la famiglia, attendendoci un conseguenziale, concertato, articolato investimento politico che più che al “bilancio” pensi al “rilancio” del Paese.
Il deficit, in realtà, è di convinzione politica. E’ di visione politica che mancano da troppo tempo le politiche familiari governative, una veduta corta che continua a fare del nostro Paese uno tra quelli che ancora si attarda e perde futuro. Lo scarto è tutto qui!
Non sarà mai ripetuto a sufficienza: chi salva la famiglia salva una Nazione; chi promuove la famiglia anticipa il futuro e non subisce le povertà morali e culturali nelle quali sprofonda la vita associata quando manca di un principio unificatore, stabilizzatore, promotore di relazioni e di dinamiche esistenziali e produttive quali la famiglia. Di questo occorrerebbe sentire parlare di più, a partire dalla vita della gente che volentieri si offrirebbe a testimonianza e a salvaguardia di questo bene comune che, dalla notte dei tempi e in ogni cultura e religione, è e rimane la famiglia.
Sì, “bene comune”: nozione vituperata, offesa, tradita eppure oggi più che mai da riaffermare proprio a partire dai diritti oggettivi della famiglia che sono i più oggettivamente democratici e costituzionali. Non sembra, pertanto, sanarsi la frattura vigente tra la vita della gente e il discernimento istituzionale; tra la rappresentanza politica e la tensione propositiva del legislatore. Sono queste distanze che vanno accorciate!
La politica dovrebbe ritrovare il “gusto di ascoltare”, di reimparare l’arte umile e ispirante dell’ascolto: le soluzioni sono già in atto; le sofferenze sono già manifeste; le disponibilità al cambiamento sono già date. Solo i ciechi e i sordi non vedono e non sentono il grido di dolore, l’invocazione di aiuto, la disponibilità ad essere sodali che viene dalla gente.
La famiglia ogni giorno parla di sé e non da sé, né fa per sé. La famiglia si mostra ancora capace in tutta la sua indomabile resistenza al male e ai mali. Nessuna realtà umana associata più della famiglia ha la capacità, ogni giorno, per il bene dei figli, per il bene di una comunità locale, dunque per l’avvenire di una Nazione, di trarre un bene da un male; da una sofferenza, da una povertà, da un’ingiustizia, il bene di tutti e per tutti.
La famiglia non ha mai cessato di assolvere alla sua funzione pre-politica e politica in ordine alla vita e al progresso del Paese; dunque, nessun Governo dovrebbe mai sminuire o trascurare questa “intesa”, la più solidale e fedele che la storia umana possa attestare. Non si tratta – e sarebbe già buona cosa sul piano culturale – di apprezzare apertamente i meriti delle famiglie, sostenendole e promuovendole fattivamente sul piano educativo e fiscale. Serve, piuttosto, che l’intero sistema democratico, se non vuole rimanere tragicamente imperfetto, decida di assumere la famiglia come nuovo paradigma politico, condiviso da tutti; un nuovo incubatore sociale fondato sulla più grande “alleanza territoriale e comunitaria” che si possa trovare, per ridare piena cittadinanza alla partecipazione della gente nella costruzione della vita associata.
In fondo, ben lo capirono i promotori del Partito Popolare Italiano, capitanati da don Luigi Sturzo. Il primo dei dodici punti di programma che qualificavano il celebre “Appello ai liberi forti” del 18 gennaio 1919 (pochi lo sanno e molti di questi lo dimenticano) era proprio dedicato alla famiglia: «Integrità della famiglia. Difesa di essa contro tutte le forme di dissoluzione e di corrompimento. Tutela della moralità pubblica, assistenza e protezione dell’infanzia, ricerca della paternità». Sono passati ormai 100 anni; potremmo riformulare e ampliare la portata di questo assunto con altri e anche nuovi argomenti, ma non mutarne priorità e urgenza.