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La vitalità permanente delle associazioni ecclesiali 
Articolo di di mons. Bruno Forte, da "Il Sole 24 Ore" del 30 aprile

Erano in molte migliaia ad ascoltarmi lo scorso 24 aprile in un’immensa sala della Fiera di Rimini: persone di ogni età e provenienza geografica e sociale nel variegato panorama della nostra Italia.

La Convocazione Nazionale nell’anno quarantesimo dell’inizio del Rinnovamento nello Spirito Santo in Italia era chiamata a riflettere sul cammino fatto in questi decenni ed era stato chiesto a me, teologo e pastore esterno a quell’esperienza e tuttavia attento ad essa con rispetto e amicizia, a riflettere sulle tappe vissute e le linee di impegno maturate. Partendo dai “padri fondatori”, figure significative di Padri gesuiti docenti alla Gregoriana di Roma e religiosi e laici di diverse provenienze ecclesiali, ho provato a ripercorrere la storia di questa diffusa esperienza spirituale, evidenziandone il passaggio dall’implicito all’esplicito, da corrente di grazia a movimento ecclesiale, dalla preghiera alla missione, dal “cenacolo” al mondo, da ciò che i carismatici amano chiamare il “roveto ardente” dell’incontro col Signore alla “colonna di fuoco” del cammino comune, simboleggiato in quello d’Israele nel deserto quando fuggì dalla schiavitù di Egitto per andare verso la terra della promessa di Dio.

Mi colpiva, mentre parlavo, l’attenzione profonda di quelle migliaia e migliaia di persone, il loro evidente desiderio di lasciarsi guidare nella lettura di fede del cammino fatto, desiderio particolarmente vivo nei tanti giovani presenti, curiosi e appassionati nel voler meglio conoscere una storia di cui si sentono figli e che non hanno vissuta se non nella memoria dei loro predecessori. Mi nascevano spontanei nella mente e nel cuore collegamenti con esperienze di altre aggregazioni ecclesiali, cui pure sono stato invitato a parlare in varie occasioni negli anni, e si precisava la domanda, cui vorrei tentare una risposta nelle righe che seguono: quali motivazioni spingono tanti uomini e donne, giovani e adulti, intere famiglie e anziani, ad affrontare sacrifici e impegni spesso esigenti, pur di far parte di un’associazione o un movimento unito nel nome di Cristo nella comunione della Chiesa? Come mai, nella pur diffusa crisi dell’associazionismo, specialmente giovanile, le aggregazioni ecclesiali non solo tengono ancora, ma non accennano a sciogliersi, mantenendo anzi alta la loro attrattiva, pur nelle profonde modifiche di stili e di linguaggi che i cambiamenti socio-culturali del Paese e della Chiesa vanno chiedendo?

Le risposte a queste domande sono chiare per il credente, che riconosce in tutto questo la forza permanente del fascino che la fede nel Dio vivente esercita sui cuori, tale da spingere le solitudini individuali ad incontrarsi nella comune esperienza dell’amore donato dall’alto, significato e partecipato dalla mediazione della Chiesa. Vorrei, però, riflettere anche su altre ragioni del fenomeno, che mi sembra abbiano una valenza e un significato rilevante per tutti.

Ne indico tre: il diffuso bisogno di spiritualità; l’esigenza di aggregarsi e quella di vivere impegni comuni al servizio degli altri.

In primo luogo, l’attrattiva che l’associazionismo religioso continua ad esercitare su tante menti e tanti cuori mi sembra il segnale chiaro di un diffuso bisogno di spiritualità: nell’era del dominio della tecnica e del primato del “business” e della produzione, l’esigenza di conoscere una sorgente di luce e di pace fatta d’amore gratuito e liberante è particolarmente acuta. Programmare il mondo, viverlo come una grande macchina da far ben funzionare e puntare tutto sul profitto e l’interesse economico-politico, non basta a soddisfare la sete di senso che tutti ci portiamo dentro. La frase di Agostino resta attuale in maniera impressionante anche oggi: «Ci hai fatto per Te ed è inquieto il nostro cuore finché non riposi in Te» (Confessioni I, 1, 1). Non sarà il possesso o il potere o il piacere egoistico a rendere felice l’uomo, ma l’aver trovato un senso degno alla vita e il vivere in maniera fedele a quest’orizzonte di significato e di bellezza. Ciò che i gruppi ecclesiali offrono a chi vi aderisce è anzitutto un’esperienza di fede, e dunque l’incontro possibile e sempre rinnovato col Dio vivente, quale Gesù Cristo ha rivelato al mondo, rendendo partecipi della vita divina coloro che in umiltà e fiducia accolgono il Suo dono d’amore. Senza questa motivazione decisiva non si potrebbe dar ragione in alcun modo della vitalità permanente dell’associazionismo religioso nella città secolare, che tendeva a spegnere o emarginare i segni del sacro e le occasioni di farne esperienza.

In secondo luogo, aggregarsi un nome di una motivazione gratificante, qual è quella dell’incontro col Signore, aiuta ad uscire dalla propria solitudine e a comunicare in profondità e verità con altri: se è vero, come mi sembra innegabile, che le nostre convivenze sociali, soprattutto nei grandi agglomerati urbani, sono spesso nient’altro che “folle di solitudini”, si capisce come un gruppo che accolga e offra ragioni di vita e di speranza alla luce della fede possa essere una risorsa di rigenerazione e di costante sostegno. L’uso semplice e spontaneo del “tu” e del nome personale nelle relazioni sono in questi gruppi un segno chiaro dei legami che in esso si creano: fermo restando il rischio sempre presente di fraintendimenti e di incomprensioni, il potenziale positivo offerto da queste esperienze aggregative è di gran lunga superiore ai loro possibili limiti. In un mondo di rapporti spesso solo formali e di tante relazioni forti in crisi (da quelle matrimoniali a quelle intergenerazionali), incontrare gruppi dalle relazioni calde e accoglienti nella libertà della fede appare a molti come l’occasione di raggiungere una vera oasi nel deserto diffuso.

Infine, ciò che queste forme di aggregazione offrono ai tanti che vi aderiscono è una possibilità di impegno per gli altri, che dà sapore ai giorni e riscalda il cuore. Poter fare del bene a qualcuno, semplicemente poter voler bene ad altri con gratuità, assumendo impegni personali e collettivi di servizio caritativo, sono altrettante forme di realizzazione di sé, capaci di dare sapore e bellezza alla fatica dei giorni: l’appartenenza al gruppo, il comune servizio di evangelizzazione e di carità, la possibilità di aprirsi ad altri e di ascoltare le storie altrui di gioie e di dolori, rende la vita più significativa e ricca e motiva ogni nuovo giorno come tempo possibile di amore e di grazia. Ignorare questo plusvalore della gratuità nei rapporti umani è stata la malattia mortale di tutte le aggregazioni ideologiche dell’epoca moderna: ed è proprio dalla lezione della crisi delle ideologie che è possibile imparare ad apprezzare il valore di piccoli gesti o di semplici parole che esprimano ascolto, condivisione, accoglienza e partecipazione.

Tutto questo è offerto nelle esperienze di associazionismo ecclesiale diffuse sul territorio del nostro Paese e nel tessuto vivo della nostra società civile: proprio perciò esse costituiscono un aiuto e un beneficio per tutti, e vanno guardate con simpatia e rispetto da tutti, specialmente ora che l’ombra dei trascorsi collateralismi politici è diffusamente passata e il pluralismo delle opzioni storiche si coniuga nei gruppi ecclesiali all’unità della fede e all’adesione fiduciosa al magistero evangelico di Papa Francesco e della maggioranza dei membri della Chiesa con lui.

Mons. Bruno Forte, Arcivescovo di Chieti-Vasto

Il Sole 24 Ore, domenica 30 aprile 2017

 

(11.05.2017)