Erano
in molte migliaia ad ascoltarmi lo scorso 24 aprile in un’immensa sala della
Fiera di Rimini: persone di ogni età e provenienza geografica e sociale nel
variegato panorama della nostra Italia.
La
Convocazione Nazionale nell’anno quarantesimo dell’inizio del Rinnovamento
nello Spirito Santo in Italia era chiamata a riflettere sul cammino fatto in
questi decenni ed era stato chiesto a me, teologo e pastore esterno a quell’esperienza
e tuttavia attento ad essa con rispetto e amicizia, a riflettere sulle tappe
vissute e le linee di impegno maturate. Partendo dai “padri fondatori”, figure
significative di Padri gesuiti docenti alla Gregoriana di Roma e religiosi e
laici di diverse provenienze ecclesiali, ho provato a ripercorrere la storia di
questa diffusa esperienza spirituale, evidenziandone il passaggio dall’implicito
all’esplicito, da corrente di grazia a movimento ecclesiale, dalla preghiera
alla missione, dal “cenacolo” al mondo, da ciò che i carismatici amano chiamare
il “roveto ardente” dell’incontro col Signore alla “colonna di fuoco” del
cammino comune, simboleggiato in quello d’Israele nel deserto quando fuggì
dalla schiavitù di Egitto per andare verso la terra della promessa di Dio.
Mi
colpiva, mentre parlavo, l’attenzione profonda di quelle migliaia e migliaia di
persone, il loro evidente desiderio di lasciarsi guidare nella lettura di fede
del cammino fatto, desiderio particolarmente vivo nei tanti giovani presenti,
curiosi e appassionati nel voler meglio conoscere una storia di cui si sentono
figli e che non hanno vissuta se non nella memoria dei loro predecessori. Mi nascevano
spontanei nella mente e nel cuore collegamenti con esperienze di altre
aggregazioni ecclesiali, cui pure sono stato invitato a parlare in varie
occasioni negli anni, e si precisava la domanda, cui vorrei tentare una
risposta nelle righe che seguono: quali motivazioni spingono tanti uomini e
donne, giovani e adulti, intere famiglie e anziani, ad affrontare sacrifici e
impegni spesso esigenti, pur di far parte di un’associazione o un movimento
unito nel nome di Cristo nella comunione della Chiesa? Come mai, nella pur
diffusa crisi dell’associazionismo, specialmente giovanile, le aggregazioni ecclesiali
non solo tengono ancora, ma non accennano a sciogliersi, mantenendo anzi alta
la loro attrattiva, pur nelle profonde modifiche di stili e di linguaggi che i
cambiamenti socio-culturali del Paese e della Chiesa vanno chiedendo?
Le
risposte a queste domande sono chiare per il credente, che riconosce in tutto
questo la forza permanente del fascino che la fede nel Dio vivente esercita sui
cuori, tale da spingere le solitudini individuali ad incontrarsi nella comune
esperienza dell’amore donato dall’alto, significato e partecipato dalla
mediazione della Chiesa. Vorrei, però, riflettere anche su altre ragioni del
fenomeno, che mi sembra abbiano una valenza e un significato rilevante per
tutti.
Ne
indico tre: il diffuso bisogno di spiritualità; l’esigenza di aggregarsi e
quella di vivere impegni comuni al servizio degli altri.
In
primo luogo, l’attrattiva che l’associazionismo religioso continua ad
esercitare su tante menti e tanti cuori mi sembra il segnale chiaro di un
diffuso bisogno di spiritualità: nell’era del dominio della tecnica e del
primato del “business” e della produzione, l’esigenza di conoscere una sorgente
di luce e di pace fatta d’amore gratuito e liberante è particolarmente acuta. Programmare
il mondo, viverlo come una grande macchina da far ben funzionare e puntare
tutto sul profitto e l’interesse economico-politico, non basta a soddisfare la
sete di senso che tutti ci portiamo dentro. La frase di Agostino resta attuale
in maniera impressionante anche oggi: «Ci hai fatto per Te ed è inquieto il
nostro cuore finché non riposi in Te» (Confessioni I, 1, 1). Non sarà il
possesso o il potere o il piacere egoistico a rendere felice l’uomo, ma l’aver
trovato un senso degno alla vita e il vivere in maniera fedele a quest’orizzonte
di significato e di bellezza. Ciò che i gruppi ecclesiali offrono a chi vi
aderisce è anzitutto un’esperienza di fede, e dunque l’incontro possibile e
sempre rinnovato col Dio vivente, quale Gesù Cristo ha rivelato al mondo,
rendendo partecipi della vita divina coloro che in umiltà e fiducia accolgono
il Suo dono d’amore. Senza questa motivazione decisiva non si potrebbe dar
ragione in alcun modo della vitalità permanente dell’associazionismo religioso
nella città secolare, che tendeva a spegnere o emarginare i segni del sacro e
le occasioni di farne esperienza.
In
secondo luogo, aggregarsi un nome di una motivazione gratificante, qual è
quella dell’incontro col Signore, aiuta ad uscire dalla propria solitudine e a
comunicare in profondità e verità con altri: se è vero, come mi sembra
innegabile, che le nostre convivenze sociali, soprattutto nei grandi
agglomerati urbani, sono spesso nient’altro che “folle di solitudini”, si
capisce come un gruppo che accolga e offra ragioni di vita e di speranza alla
luce della fede possa essere una risorsa di rigenerazione e di costante
sostegno. L’uso semplice e spontaneo del “tu” e del nome personale nelle
relazioni sono in questi gruppi un segno chiaro dei legami che in esso si
creano: fermo restando il rischio sempre presente di fraintendimenti e di
incomprensioni, il potenziale positivo offerto da queste esperienze aggregative
è di gran lunga superiore ai loro possibili limiti. In un mondo di rapporti
spesso solo formali e di tante relazioni forti in crisi (da quelle matrimoniali
a quelle intergenerazionali), incontrare gruppi dalle relazioni calde e
accoglienti nella libertà della fede appare a molti come l’occasione di
raggiungere una vera oasi nel deserto diffuso.
Infine,
ciò che queste forme di aggregazione offrono ai tanti che vi aderiscono è una
possibilità di impegno per gli altri, che dà sapore ai giorni e riscalda il
cuore. Poter fare del bene a qualcuno, semplicemente poter voler bene ad altri
con gratuità, assumendo impegni personali e collettivi di servizio caritativo,
sono altrettante forme di realizzazione di sé, capaci di dare sapore e bellezza
alla fatica dei giorni: l’appartenenza al gruppo, il comune servizio di
evangelizzazione e di carità, la possibilità di aprirsi ad altri e di ascoltare
le storie altrui di gioie e di dolori, rende la vita più significativa e ricca
e motiva ogni nuovo giorno come tempo possibile di amore e di grazia. Ignorare questo
plusvalore della gratuità nei rapporti umani è stata la malattia mortale di
tutte le aggregazioni ideologiche dell’epoca moderna: ed è proprio dalla
lezione della crisi delle ideologie che è possibile imparare ad apprezzare il
valore di piccoli gesti o di semplici parole che esprimano ascolto,
condivisione, accoglienza e partecipazione.
Tutto
questo è offerto nelle esperienze di associazionismo ecclesiale diffuse sul
territorio del nostro Paese e nel tessuto vivo della nostra società civile:
proprio perciò esse costituiscono un aiuto e un beneficio per tutti, e vanno
guardate con simpatia e rispetto da tutti, specialmente ora che l’ombra dei
trascorsi collateralismi politici è diffusamente passata e il pluralismo delle
opzioni storiche si coniuga nei gruppi ecclesiali all’unità della fede e all’adesione
fiduciosa al magistero evangelico di Papa Francesco e della maggioranza dei
membri della Chiesa con lui.
Mons. Bruno Forte,
Arcivescovo di Chieti-Vasto
Il Sole 24 Ore, domenica 30 aprile
2017