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Un roveto fiorito 
Roveto ardente di misericordia dedicato ai Sacerdoti, alle Famiglie, ai Giovani
40ª Convocazione nazionale RnS - Roveto ardente - Clicca per ingrandire...

Una piccola ostia racchiusa in una teca di vetro: un confine troppo stretto per un Dio, creatore del mondo, autore della vita. Il Roveto ardente di misericordia rischia di spegnersi come un fiammifero bagnato dalle lacrime del disincanto e della disperazione. La pesantezza del fardello di ciascuno, l’aspettativa del cuore, del corpo e della mente attirano verso il basso quel sottile lembo di paradiso dal sapore di pane, dal profumo di buono.

Ma ecco, imprevisto, più del desiderio, oltre l’immaginazione, il prodigio: l’adorazione del popolo di Dio – guidata dal consigliere spirituale nazionale don Guido Maria Pietrogrande e dal coordinatore nazionale Mario Landi – si colora di una lode pura, che ricapitola il passato, il presente e il futuro. Non chiede niente per sé, ma è rapita da uno sguardo d’amore che riconosce il volto, il nome e la storia di ognuno; non desidera la soddisfazione di un bisogno, ma è attirata da un fianco squarciato da cui gronda un fiume di grazia e di misericordia. Lo spazio e il tempo si dilatano e ogni cosa, ogni situazione, ogni ricordo sono compresi e abbracciati. Niente è escluso, tutti sono dentro, pronti a lanciarsi in un salto dall’alto, senza rete, perché il Dio della presenza è lì ad accogliere, per consentire a chiunque di spiccare il volo, mentre le ali dello Spirito sgombrano il cammino dai sassi che ostacolano, dal movimento pigro di morbide nuvole su cui sostare oltre il dovuto.

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Una sola vertigine: la gioia pura, che fa sciogliere la durezza di un cuore disabituato a tuffarsi, che infonde coraggio, liberando dalla retorica dei riti e delle formule e donando la semplicità di parole nuove, cure premurose, tenere carezze che si abbassano fino a terra, aprendo spiragli di speranza oltre il buio della paura.

Le sensazioni e le emozioni si susseguono come un fiume in piena, ma senza il disordine dell’impeto, in un silenzio che vibra sussurri d’amore, echi lontani noti da sempre, che aprono squarci e prospettive di pace.

Non c’è bisogno di capire, almeno non tutto, ma solo di reggere lo sguardo, il tuo sguardo, Dio, che mi riconosce: io in te, tu in me, frammenti di un dialogo amoroso mai interrotto, attimi di un tempo continuo, che realizza l’eternità solo se s’impregna del finito di una vita donata e restituita, solo se sporca le mani degli angeli e dei santi nell’esistenza dell’uomo.

Io in te, tu in me, Gesù, ma dopo la sosta di questa ora in una sala gremita di gente che è salita senza accorgersene alla vetta del Tabor, che ha toccato il cielo senza perdere le radici, il mio me è molteplice, una unità indivisa pronta a spezzarsi, un fuoco che arde senza bruciare, un roveto fiorito in un deserto guarito.

Daniela Novi

(23.04.2017)