RADIO VATICANA – 2 aprile 
		2010
		
		Cinque anni fa la Pasqua 
		di Giovanni Paolo II: le testimonianze di Salvatore Martinez e Franco 
		Miano
		
		Il 2 aprile del 2005, con la morte di Giovanni Paolo II, si chiudeva uno 
		dei più straordinari Pontificati nella storia della Chiesa. In questo 
		quinto anniversario della morte di Karol Wojtyla, che coincide con il 
		Venerdì Santo, torniamo indietro negli anni, all’aprile del 1979, alla 
		prima Pasqua celebrata da Giovanni Paolo II. Il servizio di Alessandro 
		Gisotti: 
		
		Chi è Cristo? E’ il 5 aprile 1979 quando Giovanni Paolo II rivolge 
		questa domanda agli universitari romani, che partecipano ad una Messa in 
		preparazione della Pasqua. Il “Papa venuto da lontano” guida da sei mesi 
		la Barca di Pietro e da un mese ha pubblicato la “Redemptor Hominis”. La 
		sua prima Enciclica che traccia il programma del suo Pontificato. Un 
		programma riassunto in una parola, in una Persona: Cristo. Karol Wojtyla 
		ricorda ai giovani di Roma che Gesù, il Figlio di Dio, “ha accettato la 
		necessità della morte”, ha “accettato la realtà del morire umano”. E 
		proprio per questo Egli è “colui che ha compiuto un rivolgimento 
		fondamentale nel modo di capire la vita”:
		
		“Ha mostrato che la vita è un passaggio, non solamente al limite della 
		morte, ma a una vita nuova. Così la Croce per noi è diventata suprema 
		cattedra della verità di Dio e dell’uomo. Tutti dobbiamo essere alunni – 
		'in corso o fuori corso' di questa cattedra. Allora comprenderemo che la 
		Croce è anche la culla dell’uomo nuovo”.
		
		A quella Croce, il Papa polacco che viene da un terra martire volge lo 
		sguardo il 13 aprile nella “Via Crucis” al Colosseo. “Guardando questa 
		Croce, la croce degli inizi della Chiesa”, è la sua esortazione, 
		“dobbiamo sentire ed esprimere una solidarietà particolarmente profonda 
		con tutti i nostri fratelli nella fede, che anche nella nostra epoca 
		sono oggetto di persecuzioni e discriminazioni”:
		
		“Guardando la Croce nel Colosseo, chiediamo a Cristo che non manchi loro 
		– così come quelli che una volta hanno subìto qui il martirio - la 
		potenza dello Spirito di cui hanno bisogno”.
		
		Certo, riconosce Giovanni Paolo II nella Veglia Pasquale, “la parola 
		morte si pronuncia con un nodo in gola”. “Essa è ogni volta qualcosa di 
		sconvolgente”. Ma il cristiano sa che Cristo, mediante la Croce, ha 
		vinto la morte. E nella notte già possiamo vedere le luci dell’alba:
		
		“Ecco la notte della Grande Attesa. Attendiamo nella fede, attendiamo 
		con tutto il nostro essere umano Colui, che all’alba ha spezzato la 
		tirannia della morte e rivelato la Divina Potenza della Vita: egli è la 
		nostra Speranza”.
		
		E questa Speranza, la vera Speranza, Giovanni Paolo II annuncia al mondo 
		il 15 aprile del 1979 nel Messaggio Urbi et Orbi per la Pasqua:
		
		“Come è per noi eloquente questo Giorno, che parla con tutta la verità 
		della nostra origine. Pietra angolare di tutta la nostra costruzione e 
		lo stesso Cristo Gesù. Questa pietra, scartata dai costruttori, che Dio 
		ha irradiato con la luce della risurrezione, si trova posta al 
		fondamento stesso della nostra fede, della nostra speranza e della 
		nostra carità”.
		
		Nel Giorno del Risorto, nel “Giorno dell’universale speranza”, Karol 
		Wojtyla invita tutti a scoprire di nuovo la propria vocazione che ognuno 
		riceve già nel Battesimo. Una missione, sottolinea, vivificata “dalla 
		gioia della Risurrezione”. E conclude con un’invocazione di speranza, 
		che riecheggia forte oggi come allora. Il Giorno di Pasqua è l’inizio di 
		un tempo nuovo:
		
		“L’uomo non può mai perdere la speranza nella vittoria del bene. Questo 
		giorno diventi oggi per noi l’esordio della nuova speranza”
		
		Proprio sulla dimensione pasquale della figura e del Pontificato di 
		Giovanni Paolo II, si sofferma il presidente nazionale di Rinnovamento 
		nello Spirito Santo, Salvatore Martinez, al microfono di 
		Alessandro Gisotti: 
		
		R. – Pasqua è il dono della vita e Giovanni Paolo II ha fatto della 
		sua vita una offerta, sofferta, agli altri. E’ stata Pasqua per i 
		giovani: il binomio giovani-gioia è stato preziosissimo nel ministero 
		pontificio di Giovanni Paolo II; è stato il binomio famiglia-amore: ha 
		insegnato alle famiglie a fare passaggio, a fare Pasqua dinanzi ai tanti 
		attacchi mortiferi; è stato il Vangelo della pace: pace come unità, come 
		abbattimento di tutti i muri di inimicizia … Il binomio poi di 
		sofferenza e vita, forse tra i più alti, che ha rivelato il cuore 
		mistico di Giovanni Paolo II eppure così profondamente incarnato nelle 
		sofferenze del nostro tempo. Direi anche il binomio carità e giustizia 
		sociale, perché non è Pasqua se le ingiustizie non vengono redente … 
		Certamente Giovanni Paolo II è uomo pasquale, è uomo che ci ha rivelato 
		il segreto della Pasqua!
		
		D. – Più passa il tempo e più è forte il messaggio, la testimonianza di 
		Giovanni Paolo II. Questo ricorda l’esperienza dei Santi …
		
		R. – Non c’è dubbio: il suo è, intanto, un magistero interiore, di un 
		uomo che era maestro di anime, e testimone in quanto maestro di anime. 
		Con quella capacità di declinare il Vangelo, di rendere accessibile il 
		Vangelo, praticabile per ogni uomo. Questo fascino contagioso è proprio 
		dei Santi. In ogni angolo del mondo, credenti e non credenti, anche 
		uomini di altre religioni continuano a ricordarlo come un uomo immerso 
		nelle realtà temporali, eppure separato, direi già elevato verso il 
		Cielo. Ed è questo, infondo, il vero destino degli uomini, ed è questo 
		che i Santi ancora oggi ci ricordano.
		
		E di un Giovanni Paolo II quanto mai presente nella vita di una 
		moltitudine di persone, parla anche il presidente dell’Azione Cattolica, 
		Franco Miano, intervistato da Alessandro Gisotti: 
		
		R. – La caratteristica dei Santi è che continuano ad accompagnarci. 
		Sono persone vissute in un dato tempo e tuttavia è come se continuassero 
		a vivere sempre, e dunque anche oggi. E così è per Giovanni Paolo II: è 
		morto cinque anni fa, ma è vivo, è vivo con noi e continua ad 
		accompagnare la nostra vita, la vita di tutti. In un certo senso è come 
		se nel tempo ci fosse più di prima, e questo significa poi tantissime 
		cose, in concreto. Significa la sua parola, il suo esempio, il suo 
		ricordo, la sua caratteristica di uomo libero, il modo di interpretare 
		gli eventi, i tanti eventi che sono accaduti nel corso del suo 
		Pontificato … E questo vale sempre, per i Santi: la distanza nel tempo 
		non ne diminuisce la presenza, ma la accresce.
		
		D. – La libertà è forse proprio la dimensione di quest’uomo che colpisce 
		nel tempo, così libero perché così legato a Cristo…
		
		R. – Questo è proprio il punto! Papa Wojtyla è stato un grandissimo, 
		mirabile esempio di libertà ma ci ha detto che cos’è la libertà. Perché 
		la vera libertà è sostanzialmente frutto di un grande legame, di un 
		grande legame di vita. Per noi cristiani, il grande legame della nostra 
		vita è il legame con il Signore Gesù e in questo senso ci ha 
		testimoniato come possa essere possibile vivere da persone libere e 
		innamorate di Gesù Cristo.