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Un amore senza misura 
Il Presidente Salvatore Martinez detta la relazione conclusiva.
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Comincia con un ringraziamento la relazione conclusiva della 42esima Convocazione nazionale, pronunciata da Salvatore Martinez. Un grazie rivolto ai moltissimi volontari che in diversi servizi hanno offerto il loro impegno, anche rinunciando, in molti casi, a partecipare all’evento: dai servizi liturgici, musicali e di animazione, fino ai servizi tecnici, al servizio Alfa, alla diffusione editoriale, ai parcheggi, ai Meeting bambini e ragazzi.

Uno speciale ringraziamento il Presidente lo rivolge a Papa Francesco, che ha indirizzato il suo saluto ai partecipanti: «Lunga vita al Papa – ha detto, infatti -, al quale giunga da qui tutto il nostro amore per la sua vicinanza spirituale». La gratitudine del Presidente va anche al cardinale Bassetti, intervenuto alla Convocazione, e attraverso di lui a tutti i Vescovi d’Italia, per l’approvazione dello Statuto: «Bassetti ci ha detto: “Ben radicati in Pietro, siete chiamati a dare alla Chiesa tutta la ricchezza della vita carismatica”. Questo significa essere carismatici come vuole la Chiesa, come cerchiamo di testimoniare da oltre 40 anni. L’invito del Cardinale ai gruppi e alle comunità di preghiera è che siano “ospedali da campo”, comunità aperte, gruppi aperti, senza mortificare i Seminari di vita nuova e la preghiera di effusione».

Il tema della relazione, «Oggi per la tua casa è venuta la salvezza» (cf Lc 19, 9a), porta ancora la figura di Zaccheo al centro della riflessione, attraverso una particolare ermeneutica che vede condensati in questo episodio evangelico il racconto del Seminario, quello dell’effusione dello Spirito e quello della manifestazione visibile che l’effusione è avvenuta.

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Il Seminario di vita nuova: «Gesù dice: “oggi devo fermarmi a casa tua”; non dice devo entrare nella tua vita. Dunque, la domanda è: Gesù è entrato nella nostra vita, ma vi si ferma? È stabile? Non ne è uscito?». Martinez osserva che quando Gesù entra nella nostra vita, questo è un inizio, ma solo se Gesù si ferma, vuol dire che noi siamo in cammino; e riprende due verbi fondamentali della vita cristiana: «Il verbo dell’inizio del cammino è credere, l’atto di fede che Zaccheo fa nel silenzio, ma il verbo del progresso del cammino è rimanere, che il verbo dell’amore (cf Giovanni 15)». Il pericolo è la “falsa partenza”, cioè il fare entrare Gesù solo attraverso «un’emozione, un pianto, un’esperienza che ci mette nel cuore propositi di nuovo impegno» ma che si esaurisce presto: «La fede ha bisogno di stabilità - afferma Martinez -, di qualcuno che ti accompagni e ti guidi, di una comunità che ti protegga, altrimenti avremo persone senza fede… Zaccheo esce da casa senza Gesù e rientra in casa con Gesù. Manzoni (nelle “Osservazioni sulla morale Cattolica”) dice che essere senza Gesù è essere già contro Gesù; ecco perché san Paolo si rallegrerà anche di coloro che parleranno di Gesù con ipocrisia».

La preparazione di Zaccheo all’incontro con Gesù, il suo correre in mezzo alla folla per poi salire sul sicomoro, rappresentano proprio il seminario di vita nuova nello Spirito. Zaccheo, anticipa i tempi, vive una «effusione spontanea dello Spirito perché sta facendo cose che sono contrarie alla sua natura, al suo stato, cose che nessuno si aspetta da lui».

Il secondo aspetto interpretativo vede coincidere il sicomoro con l’effusione dello Spirito vera e propria: «Il sicomoro è come l’albero della croce su cui sale Gesù; è luogo della vittoria di Dio, perché Zaccheo si espone al giudizio di tutti e non ha più bisogno della copertura della legge romana». È in questo momento che Gesù lo guarda in modo diverso da tutti gli altri e Zaccheo diventa il “ricordato da Dio”, nonostante la vergogna di cui si è macchiato... Zaccheo è il capostipite dei cercatori di Dio; a Rimini si viene per cercare Dio; qui ci sono 15.000 cercatori di Dio». Zaccheo, dunque, è un “cercatore cercato”, un “bussatore bussato”.

Usando un neologismo di papa Francesco, Martinez dice che Gesù deve “misericordiare” Zaccheo: «Se dopo sei anni di pontificato di Francesco non lo abbiamo capito, la misericordia è il solo amore che salva, amore carismatico che libera, guarisce, converte; questa si chiama misericordia. Zaccheo è già perdonato, Gesù non perde tempo: «Pensate che Zaccheo non volesse spiegare perché aveva rubato? Gesù non gli da tempo: “Scendi, andiamo a a casa”. Credete che Pietro non volesse parlare con Gesù del suo tradimento, chiedere perdono? Gesù non perde tempo: “Mi ami di più?”».

Infine, il terzo aspetto: in casa di Zaccheo, vediamo il segno della vita nuova, dell’effusione avvenuta: «Non è avere restituito il maltolto ma è dare la metà del suo; non restituire ciò che era di altri. Questo ci interroga perché anche nel RnS c’è chi restituisce ciò che non è suo e invece Dio vuole che eserciti i tuoi carismi, che metti le mani in tasca; papa Francesco dice che “quando la conversione arriva alle tasche, allora è sicura…” Zaccheo ha capito che se tutto è dono e il Signore governa, non c’è più mio e tuo; ciò che possiedi, adesso è di tutti… Dio ha bisogno di uomini generosi! in Gesù ogni no è diventato si... Prima viene il dare: dare il tempo, le risorse, la casa, dare se stessi, dare l’obolo della vedova, che non promette solo di pregare… Aumentare la misura: questa è la prova che Zaccheo è entrato sotto l’effetto della grazia, perché fa quello che la natura umana, autoreferenziale e chiusa, non gli farebbe fare».

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Il Presidente invita se stesso e l’assemblea a «separarsi dalla radice del peccato e ad accogliere la giustizia di Dio… Sant’Agostino, (nel commento all’Epistola di san Giovanni), dice che la giustificazione del peccato è un’opera più grande della creazione del cielo e della terra, perché in te si crea un mondo nuovo, perché il cielo e la terra passeranno, ma la salvezza non passerà».

La sfida, dunque, per i credenti e per il Rinnovamento, è entrare nel regime della grazia, non accontentarsi di ricevere consolazione e guarigione

Per vedere un «Rinnovamento che vola», il Presidente richiama tre elementi da portare a casa nella riflessione.

Il primo richiama la bassa statura di Zaccheo: «Non vogliamo un RnS di bassa statura. Vogliamo salire sul sicomoro, non perdere di vista Gesù. Nessuno si deve sentire esiliato, trascurato, piccolo, altrimenti non siamo nel regime dello Spirito. Non possiamo regalare alla Chiesa un RnS di bassa statura».

La seconda consegna il Presidente la definisce quella della «vergogna paralizzante», cioè quella di cedere a mille tentazioni o ragioni per paralizzare il cammino del RnS: dal giudizio reciproco fino alle divisioni, dalla pigrizia fino a tutti i limiti possibili, come l’essere anziani, poveri, non avere sacerdoti, credere di non avere carismi.

Infine, un terzo elemento, tratto ancora dall’episodio di Zaccheo posto a tema: «La mormorazione: la folla mormorava; il popolo del Rinnovamento mormora? Dobbiamo diffidare sempre di chi mormora, perché ha poca lode nel cuore e quindi sulle labbra. Denis Diderot diceva che “chi parla male degli altri davanti a te, parlerà male di te davanti agli altri”. La mormorazione inquina il cuore e la mente e ci porta fuori strada: la folla mormorava perché non capiva, gli scribi non capivano Gesù; ma quando non si capisce la realtà, non la si giudica, si attende di capirla attraverso la grazia».

Al termine del suo intervento, il Presidente non poteva mancare di fare un riferimento al momento di transizione, di discernimento e di verifica che il RnS si accinge a vivere attraverso il rinnovo degli Organi pastorali di servizio, invitando tutti a vivere questo momento «con gioia e senza apprensioni: il RnS è di Dio, guai a chi mette le mai sul RnS. Siamo una realtà carismatica che si pone sotto il discernimento comunitario per confermare o riconoscere i carismi. Nessuno è fondatore, nessuno è nominato a vita; questa libertà si esprime nel fatto che ogni quattro anni tutto si azzera e tutti ci rimettiamo al discernimento della comunità. Nessuno si autocandida, nessuno si autoprocalama».

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Non manca anche un riferimento del Presidente alla propria persona. Martinez ringrazia con gratitudine per l’elevato numero di candidature giunte al suo indirizzo, segno di conferma e di affetto. Ma sente anche di avvertire che nessun discernimento è «automatico, scontato, obbligato». E aggiunge: «Sento che un tempo si sta compiendo; sono un padre, non un presidente… San Giovanni Paolo II mi disse: “Io so perché non avete avuto figli. Perché Dio ti ha dato una grande famiglia”. Un padre non ha bisogno di ruoli, di cariche o di poltrone; un padre è un padre, e se un padre chiedesse ai propri figli “qual è il mio posto in casa”, avrebbe un problema». In riferimento alla propria disponibilità a raccogliere ciò che emerge dalle candidature espresse, il Presidente aggiunge:

“Non ho alcuna percezione che mi dica che io debba necessariamente rimanere nel mio ruolo; io devo rimettere il mio mandato, chiedendo che l’Assemblea consideri la decisione di sollevarmi da questo incarico. Su questo palco ci sono i miei migliori amici. La comunità sceglierà. Guai a chi dubita del nostro amore e della nostra comunione… Non mi tiro indietro – aggiunge Martinez – perché ho dato la mia vita al Signore e non intendo riprendermela. Devo solo obbedire alla volontà della comunità. Ho sempre obbedito e continuerò a fare obbedienza… questa è la mia famiglia, la casa che ho servito, servo e servirò con tutti i miei limiti e con tutte le grazie. Volevo che conosceste il mio cuore; vorrei che ci distinguessimo tutti per maturità e libertà; che mostrassimo il coraggio di amare liberamente e senza ruoli il Rinnovamento; che ci guardassimo limpidamente negli occhi e ci aiutassimo a capire cosa il Signore vuole. Aiutatemi e aiutateci a capire la volontà di Dio. Lasciamoci guidare dalla comunità. Fidiamoci della comunità».

Luciana Leone

(08.04.2019)