1. «Osserva il
giorno di sabato per santificarlo, come il Signore Dio tuo ti ha ordinato... non
farai opera alcuna né tu, né tuo figlio, né tua figlia, né il tuo schiavo, né
la tua schiava, né il tue bue...» (Dt 5,12-14).
Al popolo ebraico il Signore comanda di santificare la festa e precisa che
questo comando ci impone il dovere di "riposare". Cosa significa?
2. A noi uomini e donne del Terzo Millennio una simile
indicazione appare strana. Non viene spontaneo comandare ad un altro di
riposare, caso mai gli si raccomanda di lavorare! Eppure qui è in gioco
qualcosa che riguarda in profondità l'esperienza umana: nessun uomo in ogni
tempo e luogo può fare a meno del riposo. Questo fatto ci dice che non siamo
"onnipotenti".
3. Di fronte alla pretesa di onnipotenza, il Signore
ci comanda di "riposare". La Sua parola è piena di cura per noi. Infatti il Suo
comando incomincia invitandoci a far memoria: «Ricordati del giorno di sabato per santificarlo» (Es 20,8). Delle "Dieci parole" questa è
l'unica che comincia con questo importante invito. Per comandarci di
santificare il giorno del riposo Dio ci esorta a ricordare i doni di cui ci ha
colmato, anzitutto la Sua fedele compagnia. Nella Bibbia l'invito alla memoria
di Dio che ci ristora precede qualsiasi legge che Dio impone al popolo. Per
indicare un dovere Dio parte dalla memoria di un beneficio ricevuto. Questo
beneficio esprime una relazione di amore e
una promessa di felicità. Il presente,
per poter essere spalancato al futuro, deve essere ben radicato nel passato. Lo
tocchiamo ogni giorno con mano nelle circostanze e nei rapporti. La fede ebraica
e quella cristiana ci fanno vivere il tempo come storia, come un cammino che ha
un'Origine e conduce ad una Meta. Perché? Perché siamo figli del Padre celeste
e a Lui siamo diretti.
4. Che cosa dobbiamo ricordare? Cosa c'è di così
essenziale per la vita degli uomini nella santificazione
della festa e nel riposo per renderli
addirittura oggetto di un comandamento divino?
Il riposo è, insieme agli affetti e al lavoro, uno dei
pilastri della nostra vita quotidiana. Infatti il riposo non è semplicemente la
fine della fatica, ma ci dà un senso di liberazione e di compimento. Non a caso
il Libro della Genesi afferma che anche Dio ha riposato dopo aver creato: «Nel settimo giorno Dio portò a compimento il
lavoro che aveva fatto... Dio benedisse il settimo giorno e lo consacrò perché in
esso aveva cessato da ogni lavoro» (Gen
2,2). E sempre nella Scrittura la parola riposo attesta l'avvenuta liberazione:
«Ti darò riposo da tutti i tuoi nemici»
(2Sam 7,11), «Colui che divise le acque davanti a loro ... li guidava al riposo» (Is 63, 12.14), «Non siete ancora giunti al luogo del riposo e del possesso che il
Signore sta per darvi» (Dt 12,9);
«noi, che abbiamo creduto, entriamo in
quel riposo» (Eb 4,3).
Se Dio ha benedetto il giorno del riposo si capisce
perché il comandamento ci ordini di santificare le feste. Nella festa si celebra
la memoria della nostra creazione e quella della nostra liberazione, del nostro
compimento.
La memoria che i cristiani ogni domenica partecipando
alla Santa Messa fanno della Pasqua ci ricorda che Gesù ci ha voluto bene e che
il Suo amore è per sempre. Obbedendo al comandamento della santificazione della
festa e del riposo l'uomo proclama che la vita e il compimento della vita
vengono dal Signore che ci ha salvati.
5. Il dono della salvezza non riguarda solo il singolo,
ma l'intera comunità. Dio ha voluto redimerci insieme. Ecco perché il
comandamento dice: «Non
farai alcun lavoro, né tu, né tuo figlio, né tua figlia, né il tuo schiavo, né
la tua schiava, né il tuo bue, né il tuo asino, né il tuo bestiame, né il
forestiero che dimora presso di te, perché il tuo schiavo e la tua schiava si
riposino come te. Ricordati che sei stato schiavo nella terra d'Egitto e che il
Signore, tuo Dio, ti ha fatto uscire di là con mano potente e braccio teso»
(Dt 5,14-15). La santificazione della
festa e il riposo riguardano tutte le relazioni costitutive della persona: con
Dio, con gli altri e con se stessi.
6. Riposare per far spazio nella
nostra vita a Dio e agli altri trasforma l'esistenza in una festa. La festa esprime
il significato della vita e richiama la direzione, la meta del nostro cammino.
La festa è profondamente umana.
Ma, proprio perché ha a che fare con le domande ultime dell'uomo circa la vita
e la morte, l'origine e il destino la festa è, in ultima istanza, religiosa.
Per questa ragione tutti, credenti e non credenti, ci riconosciamo nel bisogno
della festa.
7. Il Beato Giovanni Paolo II ha
detto che la domenica «è la Pasqua della settimana, in cui si
celebra la vittoria di Cristo sul peccato e sulla morte, il compimento della
prima creazione e l'inizio della "nuova creazione"» (Giovanni Paolo II, Lettera Apostolica Dies Domini, 31
maggio 1998). Per questo, anche oggi, come quasi duemila
anni fa, noi continuiamo a dire come i martiri africani di Abitene (IV secolo
d.C.) di fronte alle ingiunzioni dei giudici risposero: «Sine dominico esse
non possumus», "Senza il giorno del Signore, senza il mistero del Signore,
semplicemente non possiamo essere, esistere, vivere" (Acta Ss. Saturnini,
Dativi et aliorum plurimorum martyrum in Africa 7, 9, 10: PL 8,
707).
8. Alla scuola della domenica ognuno di noi impara a
ricevere la propria vita da Dio e dagli altri, a percorrere il cammino con Dio
e con gli altri, a donare se stesso a Dio e agli altri. E in questo modo si
genera l'autentica comunità. È la ragione per cui la Conferenza
Episcopale Italiana propone a tutti i cittadini di Liberare la domenica per fare festa
insieme. È un libero contributo dei cristiani alla vita buona della nostra
società plurale.